Né un'email, né un messaggio, nemmeno
un’aranciata, o un caffè.
Perché
la vita a volte ti sovrasta, fa la sadica, e separa persone
inseparabili, e sostituisce spazi insostituibili.
Poi
ad un tratto, un pomeriggio qualsiasi, componi quel numero. Un numero
mai dimenticato, che è rimasto sempre lì, nel cassetto più
prezioso della tua memoria.
E
il telefono squilla, squilla ancora, squilla come prima. E senti
quella voce. Quella voce che ti riconosce subito. E non poteva essere
altrimenti. Dolce, come è dolce il ricordo della cosa più dolce.
Inattesa, come qualcosa che aspetti da sempre.
Tutto
quel tempo lontani, eppure così vicini, l’uno sempre nei pensieri
dell’altra. Presenze impalpabili, ma mai assenti. Assenze più
intensamente presenti della presenza stessa, perché non hanno
bisogno di vista e materia per riconoscersi, per sentirsi vicine.
E
finalmente, quell'incontro.
Noi,
così diversi: identici.
È
incredibile come il tempo, che sempre scorre inesorabile e che tutto
cambia, non possa niente, non abbia alcun potere su alcuni
sentimenti. Perché ci sono posti dove i granelli di polvere che
offuscano la brillantezza delle cose non possono penetrare. Luoghi
dentro, sigillati dai respiri più intimi e sinceri, punti di luce
imprecisati nel buio, che puoi vedere solo tu, ad occhi chiusi, in
quelle gelide notti in cui il vento sussurra alla luna sempre lo
stesso nome: il suo. Un nome che così, come lo pronunci a te stesso
attento che nessuno ti ascolti, affinché non te ne venga sottratto
nemmeno un accento, non potrebbe appartenere a nessun altro.
Dicono
che tutto passi. Ed, in effetti, era tutto diverso. Era cambiata la
città, avevano aperto nuovi negozi, asfaltato i marciapiedi. Erano
passati i nostri vestiti sporchi d’erba, le cinture colorate, i
“tatuaggi” disegnati a mano con la biro. Era passato il rumore
stridulo della catene delle biciclette. Era passata la nostra
panchina di legno, corrosa dalle piogge e poi sostituita da fredde
poltrone in marmo. Era passato persino il silenzio del parco al
tramonto, ora rotto dal frastuono dei clacson del nuovo parcheggio
antistante.
Tutto
era diverso. Tanto era passato. Ma “tutto tutto”, no. Perché,
forse, non è vero che tutto passa, sempre.
Noi
no.
Non
eravamo passati Noi.
(Nicole)
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