lunedì 9 febbraio 2015

Erano trascorsi anni. Migliaia di giorni. Senza alcun contatto

 un'email,  un messaggio, nemmeno un’aranciata, o un caffè.
Perché la vita a volte ti sovrasta, fa la sadica, e separa persone inseparabili, e sostituisce spazi insostituibili.
Poi ad un tratto, un pomeriggio qualsiasi, componi quel numero. Un numero mai dimenticato, che è rimasto sempre lì, nel cassetto più prezioso della tua memoria.
E il telefono squilla, squilla ancora, squilla come prima. E senti quella voce. Quella voce che ti riconosce subito. E non poteva essere altrimenti. Dolce, come è dolce il ricordo della cosa più dolce. Inattesa, come qualcosa che aspetti da sempre.
Tutto quel tempo lontani, eppure così vicini, l’uno sempre nei pensieri dell’altra. Presenze impalpabili, ma mai assenti. Assenze più intensamente presenti della presenza stessa, perché non hanno bisogno di vista e materia per riconoscersi, per sentirsi vicine.
E finalmente, quell'incontro.
Noi, così diversi: identici.
È incredibile come il tempo, che sempre scorre inesorabile e che tutto cambia, non possa niente, non abbia alcun potere su alcuni sentimenti. Perché ci sono posti dove i granelli di polvere che offuscano la brillantezza delle cose non possono penetrare. Luoghi dentro, sigillati dai respiri più intimi e sinceri, punti di luce imprecisati nel buio, che puoi vedere solo tu, ad occhi chiusi, in quelle gelide notti in cui il vento sussurra alla luna sempre lo stesso nome: il suo. Un nome che così, come lo pronunci a te stesso attento che nessuno ti ascolti, affinché non te ne venga sottratto nemmeno un accento, non potrebbe appartenere a nessun altro.
Dicono che tutto passi. Ed, in effetti, era tutto diverso. Era cambiata la città, avevano aperto nuovi negozi, asfaltato i marciapiedi. Erano passati i nostri vestiti sporchi d’erba, le cinture colorate, i “tatuaggi” disegnati a mano con la biro. Era passato il rumore stridulo della catene delle biciclette. Era passata la nostra panchina di legno, corrosa dalle piogge e poi sostituita da fredde poltrone in marmo. Era passato persino il silenzio del parco al tramonto, ora rotto dal frastuono dei clacson del nuovo parcheggio antistante.
Tutto era diverso. Tanto era passato. Ma “tutto tutto”, no. Perché, forse, non è vero che tutto passa, sempre.
Noi no.
Non eravamo passati Noi.

(Nicole)

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